Era de Maggio – Panarea.

“Ci svegliammo di fronte a Panarea. Per tutta la notte il vento ci era stato contrario ed i nostri uomini si erano alternati ai remi: ma non avevamo fatto un gran percorso, ed eravamo appena a dieci leghe da Lipari. Siccome il mare era assolutamente calmo, dissi al capitano di gettare l’ancora, di fare provviste per la giornata e, soprattutto di non dimenticare i crostacei.”

(A.Dumas, Viaggio nelle Eolie, 1835)

Delle isole minori italiane solitamente si conoscono sempre i locali e le spiagge, non abbastanza invece la storia. Come se non fosse stata questa fondamentale alla sua forma di oggi. Gli andamenti del passato, nella loro evoluzione storica, hanno protetto, cambiato, sfumato, arricchito ogni singolo angolo di strada, ogni metro quadro di terra, ogni albero, ogni casa antica.

Ho deciso di tornare alle Eolie fuori stagione. Stromboli e Panarea, a Maggio. Nessun j’accuse al turismo dei mesi più caldi che porta sostentamento e consente alle persone dell’isola di avere le risorse economiche per i mesi freddi, ma che porta anche problemi, disagi e una totale deformazione della natura più profonda dell’isola. Queste parole sono dedicate a chi, oltre al divertimento, alla calca e a tutti gli elementi base di una tarda serata di Agosto in una rinomata località balneare italiana qualsiasi, vuole cogliere l’essenza di un luogo, dialogando intimamente con esso, comprendendo il racconto dello spazio fisico, segnato sulle case e nelle strade, nella micro-urbanistica, nelle metafore implicite dentro ogni singolo gesto quotidiano, qui di un panariota – chi resta e vive l’inverno.

Le prime tracce di presenza umana stabile su Panarea risalgono alla media età del bronzo (XV-XIII secolo a.C.), lo racconta il villaggio preistorico di Capo Milazzese, un promontorio sopra Cala Junco, una delle spiagge più belle del Mediterraneo, incastonata in un antico cratere vulcanico crollato e che la rende quasi una piscina naturale, utilizzata dai pirati come base per i loro assalti nel XVI secolo (ci tornerò). La spiaggia è raggiungibile solo a piedi, dal porto sono 3 km: 45 meravigliosi e quieti (a Maggio) minuti a piedi tra case bianche, terreni e scorci mozzafiato.

Capo Milazzese ed le tracce del villaggio, tra Cala di Drautto (a sinistra) e Cala Junco (a destra). Sullo sfondo Lipari e più dietro Vulcano. Maggio 2022

Della Cultura del Milazzese restano numerosi reperti conservati nel Museo Archeologico di Lipari che ben raccontano la vita all’epoca. Camminando tra le tracce delle mura delle 22 capanne del villaggio individuate, si può cogliere come la bellezza di oggi sia la stessa di allora. Lo stesso panorama, lo stesso stupore.

Le capanne e il panorama. Maggio 2022

La Cultura del Milazzese fu spazzata via attorno alla fine del XIII secolo a.C. dall’arrivo sull’isola del popolo degli Ausoni, proveniente dalla Sicilia. Tracce di questa popolazione sono ben visibili all’interno del castello di Lipari, nell’area degli scavi, dove sono conservate numerose tracce di case e strade oltre a ceramiche e monili, conservati nell’adiacente Museo Archeologico.

La parte sinistra di Cala Junco, divisa da una propaggine del promontorio di Capo Milazzese. Mare cristallino, fragile come un vetro sottile. Maggio 2022

Panarea rimase poi qualche secolo disabitata fino a che non furono i Greci a colonizzare l’isola a partire dal VII secolo a.C. dopo aver colonizzato Lipari (presenti i resti di un tempio e di abitazioni nell’area degli scavi nel Castello di Lipari). I romani la conquistarono attorno la metà del III secolo a.C. e le tracce principali si trovano nell’adiacente scoglio di Basiluzzo, un enorme titano di roccia ancorato al profondo mare eoliano. A lato sud-est di Basiluzzo (Cala Levante), a 4 metri di profondità sono presenti i resti di un antico molo romano (crollato in acqua per il fenomeno del bradisismo, più o meno come successe a Baia) oltre ai resti di un’antica villa romana di epoca imperiale. Viene naturale fermarsi un attimo a immaginare l’organizzazione di una villa in un luogo così impervio, ma con un piccolo approdo costruito dai Romani, e la costruzione di questa, i tempi. La pervicacia del padrone che voleva beneficiare di un luogo unico: parte di ciò che era l’antico vulcano presente decine di migliaia di anni fa, oggi un’enorme piattaforma di roccia che si sviluppa fino a 165 metri d’altezza, così vicina a Panarea eppure così solitaria. Accanto, lo scoglio Spinazzola, alto 79 metri: una perfetta scultura naturale formata da tante colonne di basalto, simili a quelle che abbracciano la cascata di Svartifoss in Islanda. Di fatto, Jules Verne stabilisce come estremi geografici dell’avventura del Viaggio al Centro della Terra, l’Islanda e l’Isola di Stromboli. Una qualche similitudine ci dovrà pur essere. Mi piace pensare che Jules Verne, scrittore di cui ho divorato i libri in gioventù, si sia informato e incuriosito sulle Eolie proprio come cerco di fare io.

Stromboli e Basiluzzo in primo piano, con accanto lo scoglio Spinazzola. Maggio 2022

Col seguire del tempo l’isola ha perso popolazione e vitalità, a partire dalla dominazione bizantina successiva alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, seguita da quella araba che amplificò notevolmente la decadenza e lo spopolamento. Con i Normanni e il conseguente Regno di Sicilia l’isola ritornò ad avere una sua centralità e crebbe in demografia, e si tornò a coltivare attivamente capperi, malvasia e agrumi.

Scorci panarioti. Maggio 2022

Drautto si chiama la contrada da attraversare lungo il sentiero per Cala Junco. Questa zona prende il nome dallo spietato pirata saraceno Dragut, terrore dei mari italiani nella prima metà del XVI secolo. Turghud Alì (questo il suo nome) era solito ormeggiare le navi della sua flotta corsara nella baia che prende il suo nome, antistante la contrada, e spesso attaccare le navi, che dal Nord Italia navigavano verso la Sicilia, nascondendosi dietro Cala Junco, agendo all’improvviso al loro passaggio dietro Panarea.

Baia di Drautto. Maggio 2022

Ai quei tempi, XVI-XVII secolo, l’isola era abitata perlopiù da soli uomini che coltivavano le terre dell’isola, mentre le donne rimanevano a Lipari, molto più al sicuro dalle incursioni saracene. Dragut compì numerosi saccheggi lungo le coste italiane e assassinò migliaia di civili che si rifiutavano di sottostare alla protervia saracena. Fino al 1540, anno in cui fu catturato in Corsica da Giannettino Doria, nipote di Andrea Doria, che un paio di anni prima era stato incaricato dall’imperatore Carlo V d’Asburgo di catturare il feroce pirata. Dopo la cattura fu consegnato quindi all’ammiraglio genovese, che lo fece rinchiudere nella Torre Grimaldina di Palazzo Ducale a Genova. Fu poi incatenato e messo ai remi della nave personale di Andrea Doria per quattro anni. Fu poi ceduto come schiavo e successivamente riscattato, dietro esoso pagamento, dal comandante della flotta ottomana, Khayr al-Din Barbarossa, altro feroce pirata (che distrusse Lipari nel 1554 e la sua antica cattedrale normanna). Si dice che nell’accordo fra le parti era inclusa la concessione dell’isola di Tabarca da parte del Bey di Tunisi alla famiglia genovese dei Lomellini, strettamente legata ai Doria. Tornò così libero e riprese a compiere numerosi eccidi e selvagge razzie lungo le coste italiane, specialmente in Liguria, fino alla sua morte nel 1565. Piccola chiosa: la storia di Tabarca è poi strettamente legata a quella dell’isola di Carloforte, essendo stata colonizzata nel XVIII secolo, su concessione del Re di Sardegna – Carlo Emanuele III di Savoia, da esuli tabarchini fuggiti dall’isola tunisina, poichè assediata dalla flotta del Bey di Tunisi che dopo due secoli aveva arbitrariamente deciso di riprendersi l’isola.

Cala Zimmari e la sua spiaggia sabbiosa. Maggio 2022

La Panarea che conosciamo oggi ha iniziato a prendere forma a partire dalla metà del XVIII secolo, periodo in cui i Borbone favorirono la colonizzazione delle isole Eolie, tornando così a recuperare le terre e a costruire solidi terrazzamenti dove coltivare quelle che erano le colture tipiche dell’isola. L’isola raggiunse i 1000 abitanti verso la fine del XIX secolo per poi vivere un periodo di profondo spopolamento, causa emigrazione oltreoceano, fino agli anni ’60 del XX secolo, periodo in cui Panarea è divenuta una delle mete estive più ambite del Mediterraneo.

La chiesa di San Pietro (XIX secolo), sullo sfondo Dattilo. Maggio 2022

Oggi gli abitanti d’inverno sono 200-250, d’estate si arriva anche 5-6.000 presenze giornaliere. Una sproporzione immane concentrata in una manciata di mesi, un caos che non consente di conoscere l’isola, di apprezzarla, di viverla come andrebbe vissuta. Lentamente, secondo il tempo dell’isola: un tempo che scorre come vuole, libero, scevro da ogni regola razionale a cui noi cittadini sottostiamo quotidianamente.
Per questo conoscere la storia di un luogo aiuta a capire quel luogo, ma bisogna avere il tempo e il contesto per poterlo fare come si deve, gli estremi fisici intangibili per riuscire a sincronizzarsi con il tempo dell’isola: Maggio non poteva essere periodo migliore.

Le case di San Pietro, sullo sfondo la cima innevata dell'Etna. Maggio 2022

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