“Man mano che ci avvicinavamo, Stromboli era sempre più distinta ed attraverso quell’aria tersa della fumata e, ad intervalli di un quarto d’ora, la fiamma. Nel corso della giornata questa lingua di fuoco sembra non esistere, smarrita com’è nella luce del sole; ma appena scende la sera, appena l’oriente inizia a scurirsi, questa fiamma diventa visibile e la si vede proiettarsi in mezzo alla fumata, colorandola, per poi ricadere in una colata di lava.” (Alexandre Dumas – Viaggio nelle Eolie, 1835)
L’antica Strongyle, la più settentrionale delle isole Eolie, è una gigantesca fucina di energia che domina e spezza la monotonia del blu intenso che contraddistinue le profonde acque di questa parte di Mar Tirreno. Se ne percepisce la mole ad ogni rombo del vulcano che spicca verticalmente e sulla cui sommità sfiatano da vari crateri i fuochi e i vapori della Terra. Se ne percepisce la forza persuasiva, come una campana, come un rintocco costante a ricordarci quanto sia la Natura qui ad avere l’ultima parola, a sottolineare la nostra fragilità di fronte ad essa. Cerco di evitare qualsiasi persuasione leopardiana sulla malignità della natura (distruttrice) e sento di provare una tremenda ammirazione per questo luogo, per il suo essere tramite con le viscere della Terra, anche solo per il paesaggio, così netto e variegato, dominato da sabbie vulcaniche nere come l’abisso e rocce dalla forma eterogenea che spuntano lungo le pendici e sulle quali crescono vigorosi cespugli, arbusti e dei piccoli alberi, in una lotta costante con l’ostilità degli ambienti (e della Natura). Forse ostilità è eccessivo, diciamo durezza.

Fatte le premesse, scendo dalla barca nel pomeriggio insieme ad Andrea, che viaggia con me in queste terre, e percorriamo poco di più un kilometro lungo la strada che parte dal porto verso San Vincenzo. Il sole non picchia forte ma colora quanto basta il paesaggio facendo risaltare ai nostri occhi il bianco delle case, quell’inconfondibile bianco eoliano che si sposa perfettamente con il blu intenso del mare che circonda l’isola e che viene impresso come tinta sulle porte e sulle persiane delle abitazioni, in un perfetto equilibrio cromatico che solo qui ha senso di essere. È uno di quei rari luoghi in cui si collega l’architettura al luogo stesso e se ne apprezza ancor di più l’unicità.

L’architettura racconta gli uomini, e gli uomini raccontano questa terra. Ogni casa porta le cicatrici del vulcano sulle proprie mura, e i terreni sono cosparsi di residui di passate esplosioni. Perché il vulcano c’è anche quando credi di non vederlo, è presente sempre e ti chiama ad essere osservato al momento del suo roboante richiamo. Per questo ci fermiamo ad osservare la vetta di Iddu (come qui chiamano il vulcano) e ascoltiamo il ruggito e vediamo una nuvola di vapore levarsi sopra il cratere e sopra di noi, ascendendo lentamente al cielo. La spiaggia che costeggia via Marina, la strada percorsa, è una lunga striscia di sabbia nera e fina, che rende il mare attorno alla riva d’un colore scuro e oscuro, che rapisce lo sguardo, riflettendolo su noi stessi. La spiaggia supera ampiamente il chilometro di lunghezza e lungo di essa è un susseguirsi di barche da pesca appartenenti ai pescatori locali, pronte a solcare il mare la mattina successiva. Camminiamo in questo labirinto di legno che profuma di mare, di acque profonde e di tempesta.

Il borgo di San Vincenzo si sviluppa su una piccola altura sopra il porto, situato nella contrada di Scari, ed è raggiungibile da vari sentieri o percorrendo la via precedentemente descritta fino al vecchio porto turistico, oggi un semplice molo con vista sullo scoglio di Strombolicchio. Salendo per una strada di ciottoli, larga due metri, ci fermiamo di fronte a una piccola vigna di Corinto Nero che spunta fra le bianche case eoliane che ci accompagnano lo sguardo lungo la breve salita. Continuiamo la salita fino ad arrivare di fronte alla chiesa. La piazza antistante questa è un sussulto di stupore per quanto mare si apre di fronte agli occhi. L’immensità di un blu coriaceo e intenso, un tappeto monocromatico che porta i nostri occhi a spaziare fino alla Calabria, timidamente visibile oltre la foschia.

Il borgo antico si snoda intorno la chiesa, dalla facciata d’un giallo splendente e dalle cupole dalla forma rotonda ed equilibrata. Vie e vicoli si dipanano dalla piazza e conducono all’interno del piccolo borgo. La storia racconta che alla fine del 1800 la popolazione sfiorava i tremila abitanti, dediti soprattutto alla pesca e alla coltivazione della vite, per poi inesorabilmente ridursi nel corso degli anni a causa di fattori naturali (eruzioni e terremoti, oltre allo sterminio delle viti a causa della peronospera) e socio-economici.

L’isola visse una sorta di “rinascita” con l’uscita del film di Roberto Rossellini, Stromboli – Terra di Dio, girato sull’isola, che sancì inoltre l’inizio della relazione fra il regista e Ingrid Bergman, protagonista del film. Il film riaccese l’interesse per l’isola dando vita al suo lento divenire una meta turistica alternativa alle località tradizionali, ma ancora tremendamente autentica. Penso a tutto questo dopo essermi fermato di fronte alla casa dalle pareti rosse su cui poggia l’epigrafe che ricorda che lì visse Ingrid Bergman durante le riprese del film. Proseguiamo lungo corso Vittorio Emanuele, che dalla sinistra della chiesa di San Vincenzo si snoda attraverso il versante nord dell’isola, verso la contrada di Piscità.

Mi addentro nel vecchio campo da calcio, alle pendici del vulcano che intanto prosegue con il suo richiamo. E così malinconico, antico, statico ma che accende tanti pensieri. È difficile pensare lo sport in un luogo così, ma è bello immaginarlo. Il fascino di un cross all’ombra del vulcano, baciati da un sole primaverile mentre l’aria profuma di capperi e salsedine. Quanta immaginazione regala questo posto, quante belle sensazioni e quanta pace.

Mi sento fuori dal tempo, e convivo meravigliosamente con questa sensazione e sento quasi il dovere di fermarmi qui; Andrea sono sicuro sarebbe stato d’accordo. Perché l’isola ti rapisce la prima volta che posi gli occhi su di essa e ti chiama a sé una volta sceso, in un costante e conturbante canto delle sirene che obbliga all’ascolto. C’è tutto un universo dietro le rughe di queste case che accompagnano la nostra discesa, c’è la testimonianza concreta del tempo, della perpetua tribolazione con la Natura, della durezza della sua gente, delle ferite del suo passato. Sono testimone di tutto ciò, ora che sono seduto sulla spiaggia nera accanto al molo del porto, in attesa di ripartire con la nave verso la base, Lipari. Sto per farmi un bagno di congedo con l’isola, sto entrando nell’acqua scura. Scrivo di te, Stromboli, per non dar pace alla mia voglia di tornare.

Bellissimo, complimenti! 🙂 Le foto sono tutte bellissime, ma quella finale non ha eguali! 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie mille, è stata la perfetta conclusione di una giornata a Stromboli 🙂💪
"Mi piace"Piace a 1 persona