Il lento scivolare all’indietro di un’onda che prova ad abbracciare i sassi della spiaggia.
Non ci riesce, ma ci riprova, e ancora. Suono soffice che offusca l’udito e amplifica il battito del mare, dentro.
Il sole si è appena acceso, i raggi sonnacchiosi tergiversano nel riscaldare l’ambiente, è presto anche per loro.
Un gabbiano vola a filo dell’acqua alla ricerca di cibo, scandagliando l’abisso e il suo blu.
La sabbia è coperta da un velo tiepido di foschia, quasi impercettibile, rarefatto, effimero, come fosse di cristallo finissimo. Quasi non lo si vede, ma lo si percepisce e bisogna fare attenzione anche solo nel guardarlo con gli occhi, potrebbe infrangersi.
I rumori dell’uomo sono ancora in letargo, dando le spalle alle case sul mare sembra di essere su un’isola deserta. Dare le spalle alla civiltà per ritrovarsi, per un istante, in uno stato di assoluto e inebriante silenzio.
Il vulcano tossisce, come a dare il segnale.
Ora passa un motorino, ricomincia il tempo degli uomini.
Quanta stanchezza in queste case sparse, come fossero oasi in un deserto, ognuna con una sua storia, ognuna con un suo dolore. Quanta fatica raccontano le strade di pietre, quanta solitudine tra gli scogli, rocce affumicate dall’antica rabbia del vulcano, gettate violentemente in mare come fossero lacrime da allontanare. Lacrime che non scivolano sulle guance della montagna, ma lacrime pesanti, un dolore statico che aveva bisogno di essere estirpato. Lacrime che diventano rocce, che unendosi, sovrapponendosi diventano scogli. Scogli che racchiudono spiagge, spiagge incastonate come diamanti in mezzo a queste manifestazioni tangibili della natura.
Dove è la felicità qui? E’ ovunque, non identificabile in una singola prospettiva, ma in una somma di impercettibili sensazioni. Un invito alla sensibilità, alla responsabilità e alla cura verso sè stessi, tendere a percepire il trascorso, il pregresso. Valorizzando il processo, il percorso.
Un’isola anestetica, stasi temporanea dagli umori e dai rimpianti, dai rancori e dalle indifferenze. Gli occhi imparano nuovamente a guardarsi, le emozioni riprendono vigore, colore, tornano a parlarci. Vorrei dimenticare, e dimentico. Vorrei cancellare, e cancello. Vorrei sorridere, e sorrido. Vorrei amare, e amo.
Qui cristallizzo i momenti per riprenderli quando ritorno, li lascio poggiati su uno scoglio fronte mare, legandoli alla roccia con attenzione affinché resistano alle mareggiate invernali. E quando torno li ritrovo lì. Mi riattraversano e mi illumino.
Traccio una linea circolare sulla sabbia, come fosse un pomerio, e pongo aldilà le mie incongruenze. Ritraccio una linea ideale con gli occhi mentre guardo l’isola dal traghetto, allargo così il confine, affinché tutto ciò che deve restare fuori, scivoli in mare, negli abissi pelagici, accanto alle malinconie del mondo.
Avere un luogo in cui tornare ci salva, avere qualcuno con cui tornarci ancor di più.

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