“C’è qualcosa di stranamente maestoso nella calma di un posto come questo.
Vi regna, per lo più, un silenzio perfetto.”
(Samuel Morse, Diario Romano, 1830)
Scegliere è sempre un rompicapo, specie se si tratta di decisioni all’apparenza estemporanee, utopiche o eccessivamente lungimiranti. Eppure, resto convinto di quanto sia importante scegliere fin da ora, fin da questa età quello (o quelli) che definisco “il mio posto nel mondo”. Coltivo ardentemente ogni luogo che mi ha segnato, e che ho sognato quando, bambino, passavo le ore in macchina con il viso attaccato al finestrino osservando ogni cosa rivelasse il paesaggio, per poi rintracciarla sull’atlante stradale che ancora custodisco gelosamente come una reliquia, che ha accompagnato decine e decine di viaggi come un astrolabio o una bussola, era il mio sguardo sul mondo intorno a me, ma non lo capivo o non me ne rendevo conto.
Mi hanno sempre affascinato i paesi in altura, sopra la quota ideale dei 1000 metri sul livello del mare, mi sono sempre chiesto se quando anticamente si decideva di costruire un paese in quota si teneva conto della quota altimetrica, in una sorta di eterno campanilismo tutto italiano che si manifesta anche nel posizionare il proprio paese un solo metro più in alto sul livello del mare rispetto ad un paese vicino, un metro in meno verso il sole.
Cervara di Roma si trova a 1053 metri sul livello del mare, ed è il comune più alto della provincia di Roma (e secondo nel Lazio, Filettino, in provincia di Frosinone, lo supera in altitudine di pochi metri). Sono stato due volte in questo febbraio a Cervara, la prima con una coppia di amici, Daniele e Francesca, per poi tornare la settimana successiva, approfittando della possibilità data dalla prevista nevicata, con mio fratello e un amico, Marco. Questa è la premessa di un breve reportage scritto e fotografico che riassume le prime di molte altre esperienze in questo luogo autentico, nell’accezione più vera del termine.

Cervara a cielo aperto, perché dire museo risulterebbe ridondante, il senso lo da già il nome del paese, la sua storia e il suo passato. Cervara dall’alto osserva la valle dell’Aniene, volto a sud-ovest, ad oltre 1000 metri, ricevendo così anche l’ultimo raggio di sole possibile, venendo riscaldato dal sole nonostante il freddo e l’altura, che quotidianamente saluta i 400 abitanti che dalle numerose finestre rivolte ad esso, possono osservarlo. Il sole resiste un paio d’ore rispetto alla valle sottostante, 700 metri più in basso. Venendo dalla Sublacense sembra davvero una costruzione ideale, lontana ma vicina, metafisica nel suo porsi altrove, rimanendo dove è, abbarbicato su uno sperone del Mons Cervaria, da cui il nome del paese, un tempo popolato da una folta colonia di cervi, oggi protetti nella vicina area faunistica.

Leggo molta letteratura da viaggio perché sono sempre rimasto affascinato dal leggere (e intendere) le impressioni di grandi uomini su luoghi che io stesso ho visto, vedo o vedrò. Ripercorrere (e comprendere) le orme di personaggi illustri consente una maggiore sinergia con i luoghi, la loro storia e il loro prezioso valore intrinseco.

Qui nell’ottobre del 1856, il pittore francese Ernest Hebért si trasferì fuggendo dal caos di Roma, città in cui ha vissuto a lungo nella sua vita. Hebért, cugino di Stendhal, scelse questo luogo come suo rifugio artistico e le donne del posto come muse e modelle per i suoi quadri. Arrivò a dorso di mulo da Subiaco, dopo ivi essere arrivato da Roma. Un viaggio scomodo, complesso ma trascendentale. La strada sale verso l’unica meta possibile, quel paese che fiero osserva la valle e vede sempre il sole. L’opera principale delle cinque realizzate da Hebért durante il soggiorno a Cervara è il quadro Les Cervaròles, esposto al museo d’Orsay a Parigi, che rappresenta una scena quotidiana raffigurante una giovane ragazza che scende da un arco (oggi indicato in paese come arco di Hebèrt e in cui è presente una copia del quadro incastonata nel muro) con una giara in testa e che si accinge a dirigersi quasi verso il pittore, accompagnata da una bambina vestita in abiti tradizionali, come la protagonista. Alle spalle, una donna di spalle sale con la giara verticale in testa (mentre quella della ragazza protagonista è orizzontale, ossia vuota in attesa di essere riempita) che sale forse verso casa dopo aver preso l’acqua necessaria alla fonte. E’ una scena di un’umanità semplice ma intensa, che racconta al meglio gli oltre 18 mesi che Hebèrt ha vissuto a Cervara, lontano dai clamori della città e rifuggendo dalla vita mondana e dall’agiatezza letale per le aspirazioni e le tensioni più profonde di un pittore, o raffiguratore dell’anima che dir si voglia.

Ho sceso le scale sotto l’arco di Hebert, e il quadro (la copia) appare davanti ai miei occhi incastonato nel muro mentre scendo gli scalini. Proseguendo si scende fino ad arrivare nella piazza del paese, che definirei quasi surreale per il suo essere esclusivamente pedonale (come tutto il centro storico, si parcheggia ai lati del paese). La si può raggiungere in due modi: attraversando il centro storico (tramite l’arco di Hebért) dopo aver parcheggiato lungo la strada che sale alla destra del borgo e scendendo da lì lungo una delle tante scalinate che consentono l’accesso al centro storico, o lasciando l’auto nel parcheggio alle pendici del borgo, e da lì salire per la meravigliosa Scalinata degli Artisti che omaggia i numerosi pittori, poeti e intellettuali che hanno scelto la città come luogo e fonte d’ispirazione. Le numerose opere d’arte sparse sul suo percorso sono state realizzate da giovani artisti provenienti da tutto il mondo e dagli allievi dell’accademia delle Belle Arti di Firenze. Sono infatti decine e decine i pittori, intellettuali e artisti stranieri che nel corso del XIX secolo hanno frequentato Cervara di Roma, di molti abbiamo quadri e disegni, tra questi Joseph Anton Koch, Camille Corot, Oscar Kokoschka, Jacob Jacobsen oltre al già citato Ernest Hebért. Anche Samuel Morse, inventore del codice omonimo, nel 1830 visitò il borgo raccontando l’esperienza nel suo Diario Romano. Nel corso del XX secolo oltre al poeta Rafael Alberti e agli artisti Sante Monachesi e Domenico Purificato, uno dei frequentatori più attivi di Cervara di Roma è stato Ennio Morricone, che al paese ha dedicato una sonata, “Notturno Passacaglia per Cervara”, di cui è possibile ammirare la partitura unitamente a una breve nota del Maestro dipinta su di un muro poco prima di arrivare alla piazza dalla Scalinata degli Artisti.

Voltando le spalle al paese mentre si sale la scalinata e possibile ammirare la valle dell’Aniene sottostante. Nel mio caso, sta nevicando e la neve ha già ricoperto la sera prima Cervara. La valle può solo osservare la neve dall’alto, due mondi paralleli, due universi adiacenti. Dalla piazza, dove affaccia il Comune, si dipana un dedalo di vicoli stretti e in salita, che attraversano numerosi passaggi coperti, archi e portici inaspettati, disattesi, maestosi.





Salendo verso l’alto, seguendo le scale e le stradine che percorrono uno dei rioni più antichi di Cervara, il Borgo, si arriva prima all’affascinante Chiesa di Maria Santissima della Visitazione, costruita in pietra locale e risalente al XV secolo con all’interno pregevoli opere d’arte di maestri locali seicenteschi, per poi giungere ai resti dell’antica rocca medioevale, oramai distrutta, risalente al XI secolo e sulla cui sommità verte una statua della Madonna che volge lo sguardo al borgo sottostante.



Il panorama dalla Rocca è meraviglioso, il percorso per arrivarci è altrettanto affascinante e non impegnativo, nonostante il vento e la neve. Ci si sente in alto, perché si ha la concreta comprensione dell’altezza a cui si è, osservando la valle sottostante. E’ un paese difficile, scomodo e per questo autentico, affascinante e reale, puro. Lo capisco mentre guardo mio fratello che mi ripete quello che già sapevo mi avrebbe detto dopo averlo portato qui, e che racchiude quanto i legami nascano dai gesti semplici e silenziosi, dal capire prima. “Simo, dobbiamo prenderci una casetta qua, è un tesoro.” Io aggiungo la parola “isola”, come quella di Robert Louis Stevenson. Cervara di Roma, l’isola del Tesoro, luogo dell’arte.

che bel borgo! Grazie!
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